si sta come d’autunno

vai a prendere la cera e gli stracci. cominciava così, a metà ottobre, il mese dei morti (come diceva la mamma). andavamo a pulire le tombe, passavamo a trovare gli zii,  compravamo le stoffe per il tailleur da rinnovare per andare al cimitero. era una festa per me. le innumerevoli persone che passavano davanti a casa, tutte di nuovo vestite, i conoscenti che si fermavano a salutare e il rito del giro, tutti insieme, a far visita a chi non avevo neanche conosciuto. era davvero una festa. si mangiavano favette colorate e babbo andava anche a prendere un cabaret di paste. poi la zia, lo zio, poi la vita, poi mia suocera, poi mia sorella e la mamma. oggi non è più una festa. oggi è un mulinello di foglie secche che non riesco a fermare. lo sento nello stomaco oggi. il giorno della non festa.

Fave dei morti del Maestro

“Queste pastine sogliono farsi per la commemorazione dei morti e tengono luogo della fava baggiana, ossia d’orto, che si usa in questa occasione cotta nell’acqua coll’osso di prosciutto. Tale usanza deve avere la sua radice nell’antichità più remota poiché la fava si offeriva alle Parche, a Plutone e a Proserpina ed era celebre per le cerimonie superstiziose nelle quali si usava. Gli antichi Egizi si astenevano dal mangiarne, non la seminavano, né la toccavano colle mani, e i loro sacerdoti non osavano fissar lo sguardo sopra questo legume stimandolo cosa immonda. Le fave, e soprattutto quelle nere, erano considerate come una funebre offerta, poiché credevasi che in esse si rinchiudessero le anime dei morti, e che fossero somiglianti alle porte dell’inferno. Nelle feste Lemurali si sputavano fave nere e si percuoteva nel tempo stesso un vaso di rame per cacciar via dalle case le ombre degli antenati, i Lemuri e gli Dei dell’inferno. Festo pretende che sui fiori di questo legume siavi un segno lugubre e l’uso di offrire le fave ai morti fu una delle ragioni, a quanto si dice, per cui Pitagora ordinò a’ suoi discepoli di astenersene; un’altra ragione era per proibir loro di immischiarsi in affari di governo, facendosi con le fave lo scrutinio nelle//
// elezioni. Varie sono le maniere di fare le fave dolci; v’indicherò le seguenti: le due prime ricette sono da famiglia, la terza è più fine.

PRIMA RICETTA

Farina, grammi 200.

Zucchero, grammi 100.

Mandorle dolci, grammi 100.

Burro, grammi 30.

Uova, n. l.

Odore di scorza di limone, oppure di cannella, o d’acqua di fior d’arancio.

SECONDA RICETTA

Mandorle dolci, grammi 200.

Farina, grammi 100.

Zucchero, grammi 100.

Burro, grammi 30.

Uova, n. l.

Odore, come sopra.

TERZA RICETTA

Mandorle dolci, grammi 200.

Zucchero a velo, grammi 200.

Chiare d’uovo, n. 2.

Odore di scorza di limone o d’altro.

Per le due prime sbucciate le mandorle e pestatele collo zucchero alla grossezza di mezzo chicco di riso. Mettetele in mezzo alla farina insieme cogli altri ingredienti e formatene una pasta alquanto morbida con quel tanto di rosolio o d’acquavite che occorre. Poi riducetela a piccole pastine, in forma di una grossa fava, che risulteranno in numero di 60 o 70 per ogni ricetta. Disponetele in una teglia di rame unta prima col lardo o col burro e spolverizzata di farina; doratele coll’uovo. Cuocetele al forno o al forno da campagna, osservando che, essendo piccole, cuociono presto. Per la terza seccate le mandorle al sole o al fuoco e pestatele fini nel mortaio con le chiare d’uovo versate a poco per volta. Aggiungete per ultimo lo zucchero e mescolando con una mano impastatele. Dopo versate la pasta sulla spianatoia sopra a un velo sottilissimo di farina per poggiarla a guisa di un bastone rotondo, che dividerete in 40 parti o più per dar loro la forma di fave che cuocerete come le antecedenti”.

ps: sono contraria a riportare ricette di cose che io non abbia provato in prima persona. ma ci sono eccezioni e Pellegrino Artusi è una di queste. era un maestro in semplicità e tradizione.

foglia
voglia morta

da commemorare.

le mie ricette

Commenti (6)

  • Non mi piace che sia un rito collettivo…l’amore per chi è altrove è per me una commemorazione intima.

    Da bambina era anche per me una festa con abitudini simili a quelle che hai descritto ma era probabilmente perchè non conoscevo realmente nessuno dei defunti che si commemoravano…

    Oggi, ovviamente, non è più così ed i miei pensieri sono come la foglia di una delle più belle foto che tu abbia pubblicato: intensi fino a sfiorare la passionalità, graffianti ed arrabbiati contro il nero a contrasto, solitari perchè non è vero che il dolore si può condividere…

    • mi sono fermata di colpo vedendola ai miei piedi. il telefono a catturarla subito. è venuta bene. perchè, come te, ho sentito lo strazio della passione sull’asfalto a morire. e siccome sono nel periodo della lacrima a ogni passo mi ha commosso. non sono tipo da fiori recisi, evito il cimitero perchè è la prova lampante. vivo le mie mancanze dentro di me. però…il rito non l’ho trasferito a mio figlio. non sono stata in grado di fargli sentire la necessità di parlare almeno nel giorno della commemorazione dei nonni, della zia. che parlarne è veramente ridar vita. mi sono ripromessa che lo farò presto. lo obbligherò a ricordare e a soffrirne. perchè il rimpianto è bello.

  • silvia io ho una certa ritrosia a descrivere i miei sentimenti specie quando si parla delle persone che più mi son care.
    ma questo è un modo per sentirle vicine senza andare al cimitero, una sorta di cantilena scaccia paura che mi tiene compagnia.
    sono anni che non vado al ciitero, ne ho un rifiuto assoluto.
    sono anni che non prendo in mano gli stracci e non vado con la mia seconda mamma (che quella vera è dentro una cappella) a pulire i marmi e gli angeli piangenti.
    però mio nonno lo voglio proprio ricordare così e di sponda anche gli altri.
    perchè l’ho amato e perchè mi ha isnegnato ad amare le tradizioni antiche.
    e perchè mi disturba vedere come si possa mercificare tutto con un messggio che considero profondamente sbagliato.
    è per quello che cerco di parlarne alle mie figlie.

    • fai benissimo a parlarne alle tue figlie. e fai benissimo se riesci a farlo coon dolcezza e con tutto ciò che la tradizione porta. non ci conosciamo, se non per quel poco che possiamo intuire leggendoci ma, mi sembra di scoprire attraverso queste parole una giovane ragazza con radici profonde e memorie antiche. mi piace. grazie per aver letto.

  • io invece vado di frequente al campo santo, l’ho sempre fatto e a casa nostra e’ sempre rimasto il passar parola, il raccontare di chi non c’e piu, cosi’ ogni volta e’ come se fossero proprio accanto a noi a rincuorarci quando si sta male o a rallegrarsi per noi quando siamo felici. e cosi’ raccontando raccontando ho anche potuto fare un po’ di albero genealogico di famiglia e mi sembra di avere un po’ piu’ di radici e di ricordi.

    • il tuo nick mi ha tolto il fiato. proprio oggi. dada, dadina chiamavo mia sorella. le avevo anche regalato un braccialetto cin tutti i dadini con scritto dadina. parlare, ricordare, raccontare…quando tutto sarà più dolce, quando non farà ancora così male. riesco a scriverne. quello si. ma non so con chi parlarne. grazie dadina.

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