la notte bianca

tutta la notte nomi, diversi e cercati. tutta la notte “andiamo?” nel silenzio che non è silenzio, fra i bip e le plastiche dure sul linoleum. cigola il letto, si alza si muove. il sonno non arriva per chi nella notte vede la nemica da combattere. arrivano altri pensieri, desideri, vino rosso un bel bicchiere, mamma, e l’andiamo ricorrente, che si vuol fuggire. scomoda, sulla poltrona che è inospitale come l’ospedale, provo a chiudere gli occhi. la mano in quella di babbo che dorme. lui si. piccolo passerotto sparuto. telefono a casa e sento suoni familiari, nostalgia immediata della consuetudine. leggo, occhialifornita, banana yoshimoto e i disagi giovanili in un kitchen che non avevo ancora sfogliato. ma subito gli occhi si perdono e la testa si allontana, devo rileggere e ancora rileggere. l’attenzione catturata dalla voce che non ha pace, tengo frenata la tentazione di convincerlo che la notte è fatta per dormire. che lui vorrebbe forse ma non può. non c’è orario per la terapia, per i controlli,  non c’è pausa. anche la dottoressa di guardia fa la sua parte e non si tira indietro a cercare un vena, senza guanti, come farebbe con un suo caro, dottoressa di carattere opposto al dottore, burbero nervoso e corrosivo. prendo quello che mi viene dato. come tanti bacini buttati, una mano che stringe, un sorriso a due denti. la brioches domattina sarà calda di pasticceria e io non smetterei mai di fare colazione. ho voglia di andare al mare.

babbo, ospedale, vita

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