Il virus dal nome brutto

covid-19…

ma non c’era un nome più narrativo, semplice da scrivere, che potesse entrare in letteratura come i suoi predecessori?
almeno per il racconto dell’esperienza. i suoi predecessori erano spagnola (vuoi mettere?) colera, peste, tisi.

ci sto scherzando perché non c’è nulla da scherzare su questo cazzo di pandemia. che non solo limita la nostra libertà, ci sospende, ci dona un sacco di tempo libero, ma non gli strumenti per viverlo e mette in ginocchio interi settori economici.

no, questo maledetto ci toglie le persone di fianco, annienta i rapporti sociali e ci toglie il fiato.
piangiamo le mancanze, quelle che non ci aspettavamo, quelle che si danno per scontate. e non abbiamo ancora finito di piangere che tocca ricominciare a piangerne un altra.

positiva

lo sono sempre stata, ma quando positiva è la risposta a un tampone, subito dopo il sollievo di esserlo in tre e quindi liberi di condividere gli spazi, mischiarci e chi sta meglio cucina, subito dopo dicevo, inizia il pippaculo.

e grazie al medico prezioso che ci ha chiamati tutti i santi giorni, per chiedere come va e per spaventarci, esortando a non trascurare nulla,
(avete provato la saturazione, la febbre, preso antinfiammatorio, vitamine? ci sentiamo domani, mi raccomando adesso mi dici che stai bene e dopo devo venire a prenderti con l’ambulanza)
(avete provato la saturazione, la febbre, preso antinfiammatorio, vitamine? ci sentiamo domani…)

e così via per 15 giorni di confinamento, con la spesa che arrivava grazie a vicini e quasinuora, con il mal di testa feroce che mi obbligava a occhi chiusi dal venerdì alla domenica, con la nausea e una tossina antipatica come un gattino attaccato ai maroni.

e il caffè che cambia sapore e il sale che non lo sento più e l’olio 31 che diventa un blando elisir all’eucalipto.

la libertà

è sottovalutata. e te ne accorgi quando devi chiedere a qualcuno di farti la spesa, quando non riesci a cucinare per te stessa e devi aspettare che qualcuno venga a chiederti se ti serve qualcosa, quando non puoi uscire per andare a portare il tuo ultimo saluto a una delle colonne del paese, con la quale non potrai più discutere.
te ne accorgi quando ti senti contaminata e ti auto isoli per non contaminare, quando anche solo salutare da lontano ti preoccupa e vedi la preoccupazione negli altri.

ecco perché, quando finalmente i tamponi negativi ci hanno liberati, la prima che abbiamo fatto io e pà è stato uscire a fare la spesa, un’esperienza meravigliosa, davvero meravigliosa e poi finestre aperte e pulizie accurate quasi a voler cancellare 20 giorni di quellarobalì, che il covid-19 (e siamo già nel ’21) così dovrebbe chiamarsi.

e torneranno i sapori, i profumi, le pedalate, le camminate, le forse e spero anche i muscoli.

ps: grazie alle amiche che mi hanno lasciato coccole alla porta, alla vicina che mi ha dimostrato affetto, a marci che lei sa il perchP, a giorgia per averci prestato il saturimetro e a tutti quelli che non ci han lasciati soli, che a volte basta pochissimo.

covid-19, pandemia

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